Nel nostro precedente articolo, "Quando la normalità non è la regola", abbiamo esplorato come i comportamenti di una persona con disturbi cognitivi siano in realtà una forma di comunicazione non verbale. Abbiamo capito che la rigidità, l'isolamento e l'aggressività non sono capricci, ma espressioni di un disagio interiore.
Ora, il nostro obiettivo è fare un passo avanti: passare dalla comprensione all'azione. La psicologia comportamentale ci offre gli strumenti per analizzare questi comportamenti e intervenire in modo efficace, con pazienza ed empatia.
L'ABC del comportamento: capire la causa
Prima di agire, è fondamentale capire il perché di un comportamento. Per farlo, usiamo un modello semplice e potente chiamato ABC, che analizza ogni comportamento in tre parti:
Antecedente: ciò che accade prima del comportamento.
Behavior (Comportamento): l'azione o la reazione in sé.
Conseguenza: ciò che accade dopo il comportamento.
Prendiamo come esempio la chiusura di un centro ricreativo. L'Antecedente è la notizia della chiusura. Il Comportamento è il nervosismo, l'aggressività verbale e la pigrizia che ne derivano. La Conseguenza è che la persona assume un atteggiamento infantile, come una forma di regressione. Analizzare questo schema ci aiuta a individuare i punti in cui possiamo intervenire per cambiare la situazione.
Strategie pratiche per intervenire
Ora che abbiamo capito la causa, possiamo intervenire in punta di piedi, con un approccio mirato e compassionevole.
1. La prevenzione: creare nuove abitudini
Se la rottura di un'abitudine è l'antecedente, la soluzione è creare un'alternativa. Invece di subire la chiusura del centro ricreativo, possiamo offrire una nuova routine che la sostituisca. Un'ottima idea è fare attività all'aperto, come una passeggiata nel parco. L'ambiente naturale, i suoni dei bambini che giocano e il sole possono trasmettere un senso di calma e pace, creando un'esperienza alternativa positiva che mitighi il disagio.
2. L'insegnamento di nuove abilità
Insegnare una nuova abilità è fondamentale per dare al soggetto gli strumenti per gestire i problemi in autonomia. Un esempio pratico può essere un piccolo livido. Mentre una persona "normale" si mette una crema e va avanti, una con difficoltà cognitive potrebbe dire di "essere malata", perché non sa come risolvere il problema.
In questo caso, il nostro compito non è semplicemente risolvere il problema, ma insegnare una nuova abilità. Possiamo mostrare come si usa la crema e aiutarla a metterla sul livido. Questo approccio insegna un'abilità pratica e allo stesso tempo le dà la sicurezza di poterlo fare in futuro.
3. Il rafforzamento positivo
L'ultimo passo è il rafforzamento positivo. L'obiettivo è incoraggiare il comportamento desiderabile, celebrando i successi. Quando una persona con difficoltà cognitive usa la crema, anche se con il nostro aiuto, il nostro compito è farla sentire capace.
Non si tratta di esagerare, ma di dare una soddisfazione genuina. A quel punto, potremmo dire: "Hai visto che bravi? Adesso che abbiamo messo la crema sul nostro livido, ci sentiremo meglio. Continueremo a farlo insieme finché non guarirà del tutto".
In questo modo, stiamo trasformando un compito difficile in un'esperienza di collaborazione, dimostrando che l'atto di prendersi cura di sé è un'azione che merita di essere riconosciuta e condivisa.
Conclusioni: un cammino di empatia
Questo secondo articolo ci ha fornito gli strumenti per agire in modo efficace e compassionevole. Comprendere i disturbi comportamentali è il primo passo; agire con pazienza, con l'obiettivo di prevenire, insegnare e rafforzare positivamente, è la strada per costruire relazioni più forti e aiutare chi ha difficoltà a vivere in modo più sereno e autonomo.
N.B. L'immagine di questo articolo è generata da Gemini
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